Piazza Cavour, la paura della pioggia (vinta), la rabbia e la tristezza per una sentenza vergognosa i “cinesini” multicolori a delimitare l’ampissimo cerchio dei e delle manifestanti. La voglia di essere dalla parte giusta con Mimmo Lucano ha determinato il 3 ottobre pomeriggio centinaia di persone alla Marcia per i nuovi desaparecidos, nel giorno dedicato da Parlamento alla Memoria e all’accoglienza. Già on line sul nostro canale youtube i video di tutti gli interventi della manifestazione. Ecoinformazioni ha trasmesso anche la diretta facebook con le riprese di Musa Drammeh e Mara Cacciatori. Il discorso di Fabio Cani, portavoce di Como senza frontiere.

Avremmo voluto, oggi, dedicare la nostra maggiore attenzione ad annunciare un percorso di riflessione e approfondimento sui cinque anni trascorsi dalla creazione della rete Como senza frontiere, nata nella primavera del 2016, alla vigilia di quella “crisi della stazione” che ha messo sotto gli occhi di tutti, anche della più distratta cittadinanza comasca, la situazione del fenomeno migratorio.
Oggi, ovviamente, dobbiamo mettere al primo posto un’altra incombente attualità, ma il tema resta lo stesso, e anzi l’attualità rende ancora più urgente affrontarlo nella sua complessità.
Per questo, è bene provare a cominciare dall’inizio.
Oggi è il 3 ottobre, dal 2016 questa data è proclamata “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione”, in base alla legge n. 45 del 21 marzo di quell’anno. Conviene tornare a leggerla quella legge, tanto non è molto lunga.
All’articolo uno oltre alla denominazione ufficiale si aggiunge l’obiettivo dell’istituzione: «al fine di conservare e di rinnovare la memoria di quanti hanno perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria». All’art. 2 si stabilisce che: «In occasione della Giornata nazionale sono organizzati in tutto il territorio nazionale cerimonie, iniziative e incontri al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica alla solidarietà civile nei confronti dei migranti, al rispetto della dignità umana e del valore della vita di ciascun individuo, all’integrazione e all’accoglienza». E si sottolinea che «In occasione della Giornata nazionale le istituzioni della Repubblica, nell’ambito delle rispettive competenze, promuovono apposite iniziative, nelle scuole di ogni ordine e grado, anche in coordinamento con le associazioni e con gli organismi operanti nel settore, al fine di sensibilizzare e di formare i giovani sui temi dell’immigrazione e dell’accoglienza». Purché da questo (ed è quanto è scritto nell’art. 3) non derivino «nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica».
Guardiamoci intorno. Avete visto iniziative istituzionali volte a sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi? Non mi pare. Forse quell’opera di sensibilizzazione dovrebbe essere iniziata proprio dalle sedi istituzionali, dai palazzi governativi e parlamentari, giù giù fino a tutti i palazzi Cernezzi d’Italia, dove non mi pare che sia presente una gran consapevolezza al riguardo.
Del resto la legge tace persino sul tragico motivo di questa giornata: il 3 ottobre 2013 in un naufragio nei pressi di Lampedusa rimasero uccise 368 persone migranti. Uccise dalla Fortezza Europa, non disperse per caso… Quella tragica cifra è solo il simbolo delle molte migliaia di persone morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, o di percorrere la rotta balcanica, o anche solo di scavalcare le Alpi, oppure – ancora più vicino a noi – di superare una frontiera che noi, quando vogliamo, attraversiamo senza nemmeno badarci, ma che continua a uccidere. Per noi il 3 ottobre trova un diretto corrispettivo nel 27 febbraio, il giorno in cui – nel 2017 – morì folgorato sopra un treno alla stazione di Balerna il giovane maliano Youssouf Diakite, in viaggio alla ricerca di una vita migliore.
Cerchiamo di non dimenticarcene, non vogliamo dimenticarcene, non dobbiamo dimenticarcene. Almeno il suo nome resti un nome vero, non un mesto conto di cifre.
Anche questo è uno degli obiettivi che ci siamo posti, ricordare e capire queste storie che sono storie di persone, non di numeri. Ma se qualcuno vuole le cifre, si può provare a darle. Secondo il Missing Migrants Project dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni, dal 2014 al 27 settembre 2021, i morti accertati nel Mediterraneo sono 22 673. Se si aggiungono le persone “scomparse” negli anni precedenti si superano le 35mila persone. È questa realtà con cui dobbiamo confrontarci. Sono le scelte criminali della Fortezza Europa che continuano a uccidere. Con il fattivo contributo della Repubblica Italiana.
È evidente che a fronte di questa situazione gli obiettivi che ci dobbiamo dare sono improbi. Ma intanto fare rete significa unire gli sforzi e le competenze, provare a delineare un progetto complessivo. Così è nata, cinque anni fa, Como senza frontiere: da associazioni di tutti i tipi, da realtà culturali e religiose, da scuole d’italiano, da sindacati, da partiti politici e anche da singole persone.
È persino superfluo dire che abbiamo fatto troppo poco, perché l’unico modo per cambiare la percezione delle migrazioni – come abbiamo sempre ripetuto – è cambiare il mondo. Dobbiamo continuare.
E arriviamo così all’attualità.
Oggi siamo qui anche per manifestare la nostra solidarietà a Domenico “Mimmo” Lucano, colpito proprio pochi giorni fa da una pesantissima condanna per l’opera di accoglienza nel paese di Riace in Calabria. Non è facile superare il sentimento di indignazione per questa sentenza di primo grado e provare a dare un giudizio di questo pronunciamento del Tribunale di Locri.
Anche in questo caso, conviene non limitarsi all’indignazione, ma provare a capire.
Per questo cito qualche passaggio della presa di posizione dell’ASGI, Associazioni Studi
Giuridici sull’Immigrazione, pubblicata ieri.
«ASGI esprime sconcerto per la condanna e la palese sproporzione delle pene inflitte, il 30 settembre 2021, dal Tribunale di Locri nei confronti di vari imputati, tra i quali l’ex sindaco di Riace Domenico Lucano, per fatti legati alla gestione del sistema di accoglienza a Riace fino al 2017.
Quella gestione del sistema di accoglienza è stata ritenuta criminale con condanne che non hanno riguardato solo Lucano ma molte persone che, insieme a lui, hanno per anni vissuto e lavorato ad un modello che ha suscitato l’interesse e l’ammirazione in tutto il mondo per le modalità di integrazione espresse.
Il Tribunale di Locri ha ritenuto che, nel dedicarsi all’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo, si sia costituita una vera e propria associazione a delinquere per propri interessi personali, di fatto deviando risorse dal sistema legale pubblico per fini privati. Tuttavia, non un euro è stato effettivamente percepito dai condannati, molti dei quali vivono in condizioni di seria povertà e mai si sono arricchiti.
Non si conoscono le motivazioni delle pesanti condanne e dunque si avrà modo di analizzarle non appena saranno pubblicate. Anche prescindendo da qualunque considerazione sulla esemplarità delle pene, rimane comunque, oltre all’amarezza, la valutazione dell’oggettiva sproporzione tra la condanna inflitta a Lucano (13 anni e 2 mesi) e quelle, minori, comminate agli imputati di ben altri processi come il noto “Mafia Capitale” (i cui membri per anni hanno lucrato sull’accoglienza a Roma, con l’uso sistematico di minacce e violenza ) o il processo a carico di Traini (per il reato a Macerata di strage aggravata dall’odio razziale e porto abusivo d’arma).
La sentenza del Tribunale di Locri appare essere la criminalizzazione di un modello di accoglienza non ghettizzante, di un esperimento che, per quanto non unico, ha voluto porsi esplicitamente come esempio di alterità e diversità. E ciò è avvenuto in un territorio estremamente problematico, dove sono ben radicate le organizzazioni malavitose e dove gran parte dell’economia è basata sullo sfruttamento intensivo della manodopera, soprattutto (ma non solo) straniera, in assenza di un effettivo intervento dello Stato. […]
Punire in questo modo una gestione amministrativa lontana da ogni forma di arricchimento personale ed ispirata da encomiabili finalità di integrazione e di progresso sociali, significa creare uno iato tra giustizia e legalità, tradire quei valori profondi di umanità e di solidarietà che stanno a fondamento del nostro ordinamento costituzionale.»
Sono anche andato a rileggere quanto scriveva ASGI esattamente 3 anni fa, il 4 ottobre 2018, all’inizio della vicenda giudiziaria:
«Il procedimento penale a carico del sindaco di Riace, Domenico Lucano, sembra diventato il pretesto per chi, anche tra talune autorità governative, vuole sminuire le tante esperienze di armoniosa integrazione sociale di richiedenti asilo ed asilanti, promosse dalle strutture di accoglienza finora ideate in tutta Italia da oltre 700 enti locali, insieme con tanti enti del terzo settore.
I toni e i contenuti aspri e smodati di molte critiche pubbliche al progetto di accoglienza di Riace paiono mirare a minare la Costituzione e diminuiscono la sicurezza di tutti, perché delegittimano l’efficacia di qualsiasi modello esemplare di accoglienza: in tal modo grave è il rischio di isolare qualsiasi persona che non ha scopi di lucro, ma che, attuando i doveri inderogabili di solidarietà economica, politica e sociale prescritti dall’articolo 2 della Costituzione, si impegni a difesa dei diritti delle persone socialmente più svantaggiate, in un contesto purtroppo teso a ridurre lo spazio per un’effettiva tutela del diritto di asilo e dei diritti umani fondamentali.
In ragione di ciò appare insopportabile la mistificazione secondo cui si vorrebbe combattere il business dell’accoglienza proprio smantellando lo SPRAR e incentivando l’accoglienza dei richiedenti asilo in strutture sovraffollate e con meno garanzie come deciso dal Governo con l’approvazione del cosiddetto decreto legge sulla sicurezza.
Sconcerta che grossi centri come quello di Mineo e molti altri, la cui gestione è stata oggetto di vari procedimenti penali non vengano chiusi e gli appalti non siano revocati, ma che si voglia ridurre il sistema Sprar strumentalizzando anche la vicenda di Riace. Ci chiediamo perché tanta solerzia non avvenga nelle mille situazioni nelle quali impera il lavoro nero, il caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori, preferendo colpire proprio l’esperienza di Riace e la persona di Lucano per il suo valore simbolico.
Il progetto di accoglienza diffusa fu promosso fin dal 2002 a Riace e rappresenta una esperienza preziosa, nota in tutto il mondo, che ha permesso di invertire il declino demografico, economico e sociale di quella comunità. Essa ha altresì contribuito a sottrarre le persone accolte da possibili sfruttamenti lavorativi in un territorio dominato dall’influenza criminale della ’Ndrangheta tanto da essere stato realizzato poi in modi analoghi anche in altri luoghi d’Italia favorendo accoglienza e di inclusione sociale. […]
Occorre porsi il dubbio sulla ragionevolezza dell’applicazione di una norma penale come quella dell’art. 12 d. lgs. n. 286/1998 che punisce il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare anche in mancanza di scopi di lucro, il che può
irragionevolmente colpire anche attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate nei confronti degli stranieri in condizione di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato, cioè proprio atti che quella stessa disposizione non considera reato.»
Crediamo che proprio queste valutazioni chiamino in causa la politica, cioè la cittadinanza nel suo complesso, perché l’attività di accoglienza non può essere ammessa o condannata dalla Magistratura, perché le regole devono essere corrette ed è la politica, ovvero la rappresentanza di tutte e tutti a noi, che deve scriverle ovvero riscriverle, quando si
dimostrino sbagliate.
Anche questo è un nostro compito: non dimenticare che questa assurda condanna viene da lontano, che ministri e governi hanno non solo colpito chi cercava di “ridurre i danni” derivanti dall’emigrazione e dall’immigrazione (non dimentichiamo che Riace era un paese spopolato), ma di fatto smantellato quanto più possibile i sistemi di salvataggio e di accoglienza delle persone migranti.
Anche questo è un nostro compito: sforzarci di capire e di tenere insieme le questioni: i diritti umani, politici, sociali e ambientali (si è poco parlato nella comunicazione dominante, per esempio, in questi giorni di discorsi sull’emergenza climatica dei “profughi ambientali”, che sono la maggioranza dei cosiddetti “migranti economici”).
Anche per questo, il primo incontro della nostra serie di approfondimenti, in occasione dei 5 anni di Como senza frontiere, sarà dedicato a ResQ, la “seconda” nave, con Mediterranea, della società civile, impegnata per il salvataggio delle persone nel mar mediterraneo (su cui – detto tra parentesi – è impegnata anche una nostra amica di Como). L’incontro dovrebbe tenersi il 15 ottobre – salvo problemi di organizzazione – all’oratorio di Rebbio. Siete
invitate e invitati fin d’ora, per continuare insieme il percorso della rete. [Como senza frontiere]
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