
Como senza frontiere, rispondendo all’appello della Giornata globale di lotta contro il regime di morte nelle frontiere e per esigere verità, giustizia e riparazione per le vittime della migrazione e per le loro famiglie, ha svolto il 6 febbraio al Monumento alla Resistenza Europea di Como la Marcia Sono persone non numeri.
Si sono susseguiti gli interventi degli attivisti e delle attiviste, e stata allestista la mostra delle foto sui diritti delle persone migranti, mentre la manifestazione si è svolta in forma statica per rispettare le norme di cautela per il covid.
Commemor’Action
«Oggi è la Giornata Mondiale contro la violenza alle frontiere e per esigere verità, giustizia e riparazione per le vittime della migrazione e le loro famiglie.
La Giornata è promossa dagli attivisti di Missing at the border, composto da membri delle seguenti organizzazioni: Milano senza Frontiere, Palermo senza Frontiere, Como senza Frontiere, Carovane Migranti, Association des Travailleurs Maghrébins de France, Alarm Phone e Watch The Med.
Con il termine “Commemor’Action”, noi facciamo una duplice promessa: non dimenticare coloro che hanno perso la vita e lottare contro le frontiere che li hanno uccisi. E’ uno spazio per la costruzione di una memoria collettiva a partire dal nostro dolore. Noi non siamo soli e non ci arrenderemo. Continueremo a lottare quotidianamente per la libertà di movimento di tutte e tutti, chiedendo verità, giustizia e riparazione per le vittime delle migrazioni e le loro famiglie.
Dal 2020 celebriamo il 6 febbraio, in diversi luoghi nel mondo, la giornata della Commemor’Azione.
Siamo parenti, amici e conoscenti di morti, dispersi e/o vittime di sparizioni forzate lungo i confini terrestri o marittimi, in Africa, America, Asia, Europa e in tutto il mondo. Persone che sono sopravvissute al tentativo di varcare i confini alla ricerca di un futuro migliore. Siamo persone che sono sopravvissute al tentativo di varcare i confini alla ricerca di un futuro migliore. Cittadini e cittadine solidali che assistono e soccorrono le persone migranti, che si trovano in situazioni di disagio. Siamo pescatori, attivisti, militanti, migranti, accademici, ecc.
La Commemor’Azione è ricordare, con azioni che uniscono messaggi politici e performance artistiche, ma soprattutto è mettere in contatto i parenti in lutto con quante più persone possibili, per creare iniziative collettive, far conoscere le loro storie e le loro rivendicazioni. I giorni della Commemor’Azione sono momenti di memoria per queste vittime e di costruzione di percorsi collettivi volti a sostenere le famiglie nelle loro richieste di verità e giustizia per i loro cari.
I crimini contro l’umanità migrante si verificano in così tanti giorni dell’anno, che è impossibile sceglierne uno solo. La data simbolica del 6 febbraio si riferisce al massacro del 2014 a Tarajal, dove la Guardia Civil spagnola ha sparato proiettili di gomma per respingere i migranti che tentavano di raggiungere le coste spagnole. Questo atto criminale e disumano, rimasto impunito, ha causato la morte di 15 persone. Questo è accaduto sotto gli occhi di tutti, per mano di un sistema persecutorio, che ha causato la scomparsa di molti esseri umani, lasciando nell’oblio le loro famiglie e i loro cari.
Ci impegniamo a non dimenticarli, ogni anno attraverso azioni decentrate in diversi luoghi e contesti (Tarajal, Agadez, Berlino, Calais, Dakar, Douala, Marsiglia, Messico, Niamey, Oujda, Milano, Palermo, Roma, Parigi, Tunisia, Casablanca… e – possiamo aggiungere – Como. Ci troviamo per manifestare contro il sistema dei regimi assassini.
Inoltre, ogni due anni verrà scelta una località per celebrare la grande CommemorAzione centralizzata. A settembre 2022 sarà la Tunisia ad accogliere l’evento.
Fin qui il comunicato che indice la giornata di oggi.
A questo, proprio per non dimenticare e continuare ad agire, vogliamo aggiungere due storie, successe vicine a noi.
Il 27 FEBBRAIO 2017, un giovane moriva fulminato sopra il tetto di un Tilo, uno dei convogli dei pendolari, non lontano dalla stazione di Balerna, appena superato il confine italo elvetico. Proveniva evidentemente da Como, e prima ancora dal Mediterraneo, e prima ancor dall’Africa. Non aveva nome, era una delle tante persone che cercano – in tutti modi – di seguire la propria strada, il proprio progetto di vita. Ci sono voluti molti giorni per ridare un nome e una storia a quella giovane vita: Diakite Youssouf, proveniente dal Mali “riposa” oggi in una tomba del cimitero di Balerna, dove il municipio della cittadina svizzera ha voluto, con un gesto di umanità non così comune, restituirgli – almeno in morte – una dignità che altri, più in alto, gli avevano tolto in vita.
Diakite Youssouf è per noi – a costo della sua vita – il simbolo, il segnale, che le frontiere uccidono e continuano a uccidere, anche molto vicino a noi. Non solo tra Messico e Stati Uniti, non solo nella penisola indocinese, non solo sulle coste australiane, non solo nel Mediterraneo, non solo a Tarajal, non solo a Ceuta e Melilla, non solo sulla rotta Balcanica, non solo alla frontiera polacca, non solo a Lampedusa, Ventimiglia, Bardonecchia o allo Stelvio, anche qui, a pochi chilometri, appena superato il confine di Chiasso.
Noi abbiamo nei confronti di Diakite Youssouf un dovere di memoria, almeno quello, visto che la sua morte non ha insegnato nulla a chi dovrebbe avere il dovere civile di governare il diritto di migrazione…
Poco meno di un anno dopo, il 20 gennaio 2018 una altra persona è morta sulla stessa rotta di migrazione, questa volta travolta. Anche a lui, dopo lunghe indagini è stata restituita un’identità: Mohamed Qouyt, proveniente dal Marocco.
Che oggi noi siamo costretti a commemorare queste morti è gravissimo, quasi incredibile. Siamo qui per commemorare, quando invece ci piacerebbe festeggiare – che so? – l’entrata in vigore di una legislazione umana, il riconoscimento dei diritti universali alla migrazione (diritti che sono già sanciti dalle norme internazionali), l’apertura delle porte della Fortezza Europa…
E invece no.
C’è un altro fatto che bisogna ricordare: il 28 novembre di quello stesso 2017, un gruppo di neonazisti provenienti da tutta l’alta Italia, e appartenenti al Veneto fronte skinheads, si sono dati convegno a Como per interrompere un’assemblea di Como senza frontiere, che quella sera si svolgeva al “chiostrino Artificio”, uno spazio pubblico, comunale, allora in gestione all’associazione Luminanda, aderente alla rete.
È stato quello un atto gravissimo, rivolto non tanto contro di noi, contro le persone presenti (che, anche grazie al loro autocontrollo, da qualcuno stupidamente e colpevolmente scambiato per indifferenza) ne sono usciti illese, ma con ogni evidenza rivolto contro i diritti di tutti e tutte e anche contro i principi stessi della convivenza democratica, contro i fondamenti stessi della Costituzione italiana.
Ci sono voluti più di quattro anni per arrivare al riconoscimento delle responsabilità di quei tredici neonazisti. Il 2 febbraio il Tribunale di Como ha condannato per violenza privata aggravata 11 di loro a 1 anno e 8 mesi e 2 a 1 anno 9 mesi e 10 giorni. Dobbiamo attendere le “motivazioni” della sentenza per apprendere nello specifico le ragioni di tale condanna a una pena persino di poco superiore alle richieste della PM, ma abbiamo colto un’attenzione e un coinvolgimento della procura della Repubblica di Como che, in una certa misura, ci rassicura.
Non così da parte dell’amministrazione comunale di Como che si è sottratta al dovere di costituirsi parte civile al processo, che non ha mai manifestato solidarietà alla rete Como senza frontiere, che non ha voluto nemmeno partecipare alla manifestazione nazionale antifascista del 9 dicembre 2017, a cui hanno viceversa partecipato associazioni, sindacati, partiti, realtà di volontariato, insieme a qualche migliaio di persone, giudicandola “divisiva”!
Crediamo non sia inutile ripensare a questi fatti, diversi ma ugualmente significativi, per continuare il nostro lavoro di memoria e di azione.
I problemi connessi all’epocale fenomeno delle migrazioni non sono certo risolti, anche se non vediamo più centinaia di persone accampate presso la stazione San Giovanni, anche se in questo momento ci sono poche persone visibili che dormono all’addiaccio (per l’impegno delle realtà del volontariato e – anche – della pressione portata avanti da tutti verso l’amministrazione comunale che a lungo si è sottratta a questo suo preciso dovere).
Dobbiamo mettere in questa fase tutta la nostra attenzione sull’evoluzione di questi fenomeni.
L’ultimo rapporto della Carta di Roma, l’associazione che monitora l’atteggiamento dei mezzi di informazione a proposito delle migrazioni, segnala che nel 2021 l’attenzione è scesa di circa il 20%, con poche lodevoli eccezioni. Possiamo anche immaginare che questo corrisponda a una diminuzione di inutili cattiverie e stupidaggini al proposito, ma certo questo tema è passato ai margini del discorso pubblico e politico.
Invece non dobbiamo smettere di occuparcene e preoccuparcene. Non possiamo, non dobbiamo smettere di chiedere il riconoscimento di diritti inalienabili.
Per questo siamo qui, oggi. [Fabio Cani, portavoce Como senza frontiere]
Guarda l’album delle foto di Gianpaolo Rosso, ecoinformazioni.
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