Il 27 febbraio 2017 Youssouf Diakite moriva folgorato alla stazione di Balerna, durante un disperato tentativo di raggiungere il Nord Europa. Come ogni anno da quel giorno, tra domenica 26 e lunedì 27 febbraio Como senza frontiere e molte altre realtà sia italiane che ticinesi hanno ricordato la sua tragedia, quella di Mohammed Kouji, anche lui morto sulla rotta italo-elvetica nel 2018, e tutte le vittime della fortezza Europa.
Nella mattinata di domenica 26 febbraio, una delegazione comasca si è recata al cimitero di Balerna, dove sono sepolti i due migranti uccisi dalla frontiera, per depositare sulla loro tomba fiori e un manifesto che ricorda la responsabilità politica dell’Europa per i loro decessi.
Come ha affermato Fabio Cani, a cui è stato affidato il breve discorso di commemorazione, Diakite e Kouji sono vittime della miopia folle di un continente che si è chiuso in sé stesso. Una barricata che si giustifica con l’incapacità di comprendere la storia, che è da sempre connotata dalle migrazioni umane. Anziché impedire la ricerca di una vita migliore da parte di chi migra, costringendo a decessi atroci nel cimitero Mediterraneo o appunto lungo le linee di trasporto, i governi occidentali dovrebbero dare accoglienza e, ancora più profondamente, riflettere su che tipo di condizioni spingono queste persone ad abbandonare tutto per andare verso l’ignoto. Guerre e dittature persecutorie sono mali umani e se è vero che la storia è fatta anche di questi fenomeni, d’altra parte bisogna riflettere sulla possibilità di costruire paradigmi alternativi sia di gestione geopolitica che, soprattutto, di riconoscimento nei confronti di chi è costretto a migrare.

Quello del riconoscimento è un tema emerso in diversi dei commossi interventi di alcuni dei circa trenta presenti: da un lato c’è il riconoscimento di un’alterità umana con cui l’Europa non sembra ancora voler fare i conti nonostante la cronaca quotidiana racconti di morti in mare e di una realtà, quella dei lager libici, terribile; dall’altra parte c’è quello dei diritti fondamentali, dell’umanità negata di queste persone che, ancora, sono costrette a rischiare tutto per un minimo barlume di futuro.

Proprio per sensibilizzare la popolazione sulla tragedia che si è e continua a consumarsi quotidianamente alle soglie della fortezza Europa, nel pomeriggio di lunedì 27 febbraio si è tenuto un presidio sulla scalinata della stazione di Como san Giovanni. Per ricordare la morte di Diakite nel suo sesto anniversario è stato scelto un luogo simbolo non solo della rotta ferroviaria di frontiera, ma anche della crisi che Como ha vissuto a causa dei respingimenti, quando nell’estate 2016 centinaia di persone sono state costrette da espulsioni e respingimenti ad accamparsi nel prato antistante san Giovanni.
Durante l’iniziativa, sono stati distribuiti volantini che ricordavano simbolicamente i “folgorati dall’Europa”.

La stretta attualità porta ancora una volta a volgere lo sguardo al cimitero Mediterraneo, che continua a mietere vittime colpevoli di essere nate “nel paese sbagliato” e di cercare un futuro vivibile. L’Occidente risponde alzando muri che però sono destinati a crollare, se è vero che sempre di più anche la questione climatica diventerà causa di spostamenti di masse umane.
Pacifismo, antimilitarismo, ecologismo e soprattutto il riconoscimento di un “altro” che in realtà non è che altro-umano, sono temi etici e politici che si intrecciano di fronte alle quotidiane tragedie migratorie. Ancora una volta riprendendo le parole di Cani, non si può che ricordare e agire perché queste morti siano le ultime, ma c’è la consapevolezza che, probabilmente, la carneficina migratoria è destinata a durare ancora a lungo. [Pietro Caresana, ecoinformazioni]
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