Sindaci contro la barbarie del decreto Cutro

Di fronte all’attacco all’umanità, ai diritti e alla Costituzione deciso dal governo di estrema destra che nei prossimi giorni porterà all’abolizione della Protezione speciale con conseguente condanna a morte per migliaia di persone, i sindaci di centrosinistra (Gualtieri, Sala, Manfredi, Lo Russo, Lepore e Nardella) delle principali città italiane prendono posizione chiedendo all’esecutivo di fermarsi e non isolare l’Italia dall’insieme dei paesi civili. Il fatto che tale posizione venga assunta da sindaci come Sala e Nardella nel passato schierati dalla parte dei lager Cie potrebbe essere segno di una svolta positiva. In Parlamento si annuncia la resistenza democratica di Pd e Alleanza Verdi e Sinistra. Ancora non chiara la posizione del centrodestra di Calenda e Renzi.

«Basta parlare di emergenza. Come Sindaci, come Amministratori, come cittadini che quotidianamente si impegnano nei territori per cercare di garantire le migliori risposte alle criticità che le nostre Comunità esplicitano, siamo molto preoccupati per le proposte in discussione relative alle modifiche all’unico sistema di accoglienza migranti effettivamente pubblico, strutturato, non emergenziale che abbiamo in Italia”. “La preoccupazione delle città è massima a fronte di emendamenti proposti da alcuni partiti al DL 591 dopo le tante evidenze a cui il nostro ordinamento ha dovuto porre rimedio in questi anni. Non bisogna ragionare in ottica emergenziale ed è secondo noi sbagliato immaginare l’esclusione dei richiedenti asilo dal Sai, precludendo loro qualunque percorso di integrazione e una reale possibilità di inclusione ed emancipazione nelle nostre comunità”. “Non condividiamo la cancellazione della protezione speciale, misura presente in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale, mentre circa il 50% dei migranti presenta vulnerabilità ed è in parte significativa costituito da nuclei familiari. Queste scelte, qualora adottate, non potrebbero che procurare infatti una costante lesione dei diritti individuali e innumerevoli difficoltà che le nostre comunità hanno già dovuto affrontare negli anni scorsi, a fronte di un importante aumento di cittadini stranieri condannati appunto all’invisibilità. Tutto questo mentre il sistema dei Cas, mai uscito da un assetto emergenziale, è saturo e purtroppo inadeguato ad accogliere già oggi chi proviene dai flussi della rotta mediterranea come da quella balcanica. Insufficiente, sia per numeri sia per le modalità d’accoglienza sia per i servizi di accompagnamento, protezione ed inclusione, assenti. E in questo quadro occorre ripensare anche il sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati cui occorre applicare logiche distributive che evitino la concentrazione nelle sole grandi città”. “Le nostre città sono infatti impegnate già oggi, spesso con sforzi oltre i propri limiti e frequentemente oltre le proprie funzioni e competenze, a porre rimedio con risorse proprie alle manchevolezze di un sistema nazionale adeguato – si legge nel documento congiunto -. La soppressione della possibilità di costruire un unico sistema di accoglienza pubblico, trasparente e professionale (come il SAI), garantendo percorsi dignitosi e tutelanti anche per le persone richiedenti protezione internazionale, non può comportare la nascita di nuovi grandi centri di accoglienza o detenzione nei nostri territori. La storia degli ultimi vent’anni di accoglienza in Italia dimostra chiaramente come modelli emergenziali, con standard qualitativi minimi e volti al mero ”vitto e alloggio” abbiano procurato ferite enormi nelle nostre comunità e non abbiano garantito diritti esigibili alla popolazione rifugiata. E soprattutto abbiano fallito processi di inclusione efficaci e duraturi. -Sia rinforzata l’unitarietà del Sistema di Accoglienza italiano, valorizzando l’esperienza virtuosa del Sai, ovvero supportando attivamente la rete dei Comuni che quotidianamente affrontano in prima persona le sfide che i movimenti migratori in ingresso sottopongono ai nostri servizi, ai nostri territori e alle nostre comunità. Con un solo obiettivo: garantire percorsi di effettiva inclusione e tutela compatibili con i territori, evitando grandi centri di accoglienza, senza servizi e senza tutele per tutti; che il Sai rimanga accessibile a richiedenti protezione e rifugiati; che i Cas vengano trasformati in hub di prima accoglienza, dedicati alle procedure di identificazione e di screening sanitario per poi procedere a trasferimenti rapidi nel sistema di seconda accoglienza ed inclusione, appunto il Sai; che vengano ripristinati i criteri di riparto che il Piano nazionale di accoglienza aveva indicato”. “In assenza di azioni positive mirate o, peggio, con azioni sbagliate, le ricadute saranno infatti l’irregolarità diffusa o lunghi percorsi di ricorsi giudiziari che paralizzeranno le vite di molte persone inabilitandole e rendendole facili prede del lavoro nero, che invece non manca – proseguono i sindaci – Infine, come Amministrazioni locali, auspichiamo che ancora una volta l’Italia non si contraddistingua per una regressione relativa al sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati: da troppi anni questo tema necessita di una riforma importante e strutturale, che miri ad un equilibrio nazionale del sistema di accoglienza imprescindibile dal coinvolgimento dei Comuni e dagli obiettivi di inclusione, protezione e con una diffusione omogenea a livello nazionale. “Siamo convinti – conclude il documento – insieme ad altre voci autorevoli, che dopo circa vent’anni e anche alla luce di alcuni temi di strutturale cambiamento demografico e sociale non si debba continuare a parlare di emergenza e che proprio in questo momento occorra la lungimiranza di aprire una discussione per scegliere una via legale all’immigrazione e alla regolarizzazione degli immigrati già presenti in Italia, anche attraverso il ricorso allo ius scholae, premessa a comunità solidali, capaci di proporre percorsi di vera emancipazione e autonomia alle persone nel pieno interesse del nostro Paese». [Gualtieri, Sala, Manfredi, Lo Russo, Lepore e Nardella] [da Adnkronos]

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Con l’Arci salviamo il San Primo a Cantù

La vicenda del Monte San Primo sbarca a Cantù. Si terrà infatti nel circolo Arci Terra e Libertà di via Ettore Brambilla 3 a Cantù, nella serata di venerdì 14 aprile, dalle 21, l’incontro dal titolo Salviamo il Monte San Primo. Ad organizzarlo i circoli Arci Terra e libertà e Mirabello.  Durante l’incontro sì discuterà del contestato progetto per la realizzazione di nuovi impianti sciistici sul Monte San Primo, la più alta cima del Triangolo Lariano. Ad opporsi al progetto sono ben 32 associazioni che hanno costituito il Coordinamento ‘Salviamo il Monte San Primo’, che nei mesi scorsi ha organizzato più eventi di protesta a cui hanno partecipato centinaia di cittadini.

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Limiti in movimento: migrazioni, frontiere, integrazione, incontri

Il 30 marzo a Villa del Grumello, si è svolto Limiti in movimento. Focus sulle migrazioni, un incontro a più voci per riflettere sul tema delle migrazioni internazionali e su ciò che i limiti rappresentano all’interno di questi.
L’invito al dialogo nasce dall’associazione Villa del Grumello che nell’arco del weekend ha organizzato una tre giorni ricca di eventi ed iniziative: Limiti – Humanities Festival si è svolto dal 31 marzo al 2 aprile con l’idea di sviluppare riflessioni teoriche e pratiche in diversi campi, dalle arti visive, al teatro passando per musica e momenti di discussione. L’intento è stato quello di creare un intreccio tra il territorio locale e quello globale interrogando i vari significati dei limiti, siano questi politici, ambientali o personali

Nel calendario delle iniziative, l’associazione ha deciso di proporre al pubblico un incontro ad ingresso gratuito invitando relatori, dal territorio e non, con ruoli e prospettive diverse ma comunemente indirizzate verso le migrazioni in senso ampio. L’obiettivo della serata è stata quindi una riflessione sul fenomeno migratorio attraverso la chiave di lettura dei limiti, che possono essere frontiera da superare ma anche come luogo d’intrecci ed incontri tra nuovi e vecchi abitanti.

Sul palco, la curatrice dell’incontro, nonché moderatrice della conversazione, Giulia Galera, ricercatrice ed esperta in temi d’impresa sociale e d’integrazione dei migranti presso Euricse. Accanto a lei si sono alternati Simone Baglioni, professore di Sociologia generale all’Università di Parma, Fabio Cani co-direttore di ecoinformazioni, portavoce della rete Como Senza Frontiere e editore di NodoLibri, don Giusto della Valle, parroco di Rebbio, e Giorgio Bene, dell’impresa sociale Miledù  di Como.

L’inizio del confronto è stato affidato a Simone Baglioni, che ha dato una prima lettura scientifica e generale del fenomeno migratorio mondiale. Dal suo punto di vista, per parlare di migrazione è necessario partire soprattutto dai numeri: questo perché il dibattito politico in Italia ed Europa spesso prescinde da questi, ma è piuttosto veicolato dalle idee sull’altro e dal fatto che gli stranieri possano varcare o meno i confini. Bisogna però considerare i dati e da questi partire per programmare le politiche di migrazione ed accoglienza.

Per prima cosa, i dati più recenti delle Nazioni Unite (2022, purtroppo non considerando le informazioni sulla guerra in Ucraina per le tempistiche di elaborazione delle informazioni) indicano che l’età media dei migranti è 39 anni, la percentuale di popolazione mondiale che migra è di circa il 3% e che il 73% ha tra i 20 e 64 anni, quindi il periodo di maggior attività lavorativa e di sviluppo della propria vita.
Nel contesto europeo, la componente giovane dei migranti è molto ampia, e per un motivo di base: oltrepassare il limite è un’attività selettiva ed è un progetto di vita che non tutti sono in grado di fare. Migrare non è un’avventura ma una progettualità, anche nel caso di guerre e persecuzioni, è il progetto che necessita di risorse (economiche come i soldi, sociali in termini di relazioni verso dove ci si muove e culturali, rispetto alla capacità di conoscere e parlare la lingua dove si va), buona salute, buone ragioni (tema molto ampio e complesso) e spirito d’intraprendenza per sviluppare questo progetto.

Il secondo aspetto evidenziato dal professore è la necessità di considerare che le migrazioni sono selettive principalmente perché dipendono dalle politiche migratorie dei paesi di destinazione. Tra i più importanti corridoi di migrazione in Europa (allargata) nel 2019 troviamo Russia-Ucraina, Algeria-Francia, Turchia-Germania, Marocco-Francia, India-Gran Bretagna. Questi dati dicono chiaramente una cosa: ovvero che molti dei flussi dipendono da scelte ed accordi politici e da stratificazioni storiche che permangono nel tempo come le relazioni tra paesi ex Urss o tra ex colonie con i paesi colonizzatori. Tutte queste dinamiche non sono scomparse col tempo, ma permangono come relazioni economiche e politiche.

Altro tema sono le politiche per l’accoglienza dei rifugiati: nel corso degli anni il numero di rifugiati costretti a scappare ma che si spostano all’interno del proprio paese è cresciuto; inoltre, questo rappresenta la maggior percentuale dei rifugiati perché la migrazione è un processo estremamente selettivo, richiede risorse personali e politiche per poter raggiungere la propria destinazione. Si capisce perciò che, sebbene vi sia uno stato di pericolo, molte persone non possono abbandonare il paese dove si trovano.
Vi è inoltre da sfatare il mito dei paesi ricchi come i maggiori ospiti dei rifugiati (dati per l’anno 2018): i maggiori flussi convergono infatti verso Turchia, Pakistan, Uganda, Sudan, con la Germania, prima a comparire tra i paesi europei, in quinta posizione globale. Nel 2020 vi sono stati altissimi tassi di rigetto di domande di asilo nei paesi europei (69% Spagna, 81% Francia, 46% Grecia, 67% Italia, 77% Svezia, secondo i dati Eurostat); eppure queste persone non abbandonano i paesi ma vi permangono illegalmente senza potersi integrare nelle società dove sono.

In ultimo, bisogna considerare i segmenti di mercato lavorativo che sono dedicati ai migranti, perché questi spesso occupano posizioni professionali che non corrispondono al loro grado di preparazione e che dipendono dal loro status di migranti. Anche in questo caso, ci sono scelte politiche alla base per cui in Italia i migranti trovano soprattutto lavoro in certi segmenti del mercato caratterizzati da basso reddito e specializzazione, mentre nel Regno Unito si è con il tempo creato spazio anche in segmenti più alti.

Concludendo, Simone Baglioni evidenzia come tutti questi aspetti debbano essere messi in relazione; si evince, ad esempio, che le migrazioni portano persone tendenzialmente giovani in Italia (un paese con forti dinamiche d’invecchiamento della popolazione), cui non sono però dedicati segmenti di mercato ad ogni livello ma solo in quelli più bassi; solo con politiche più lungimiranti si potranno quindi costruire modelli d’integrazione che portano beneficio alla società intera.

Successivamente, Fabio Cani ha fornito una narrazione di quelle che sono state le migrazioni nella città di Como nel corso dei secoli, accompagnando il pubblico nel comprendere come e perché la società locale di oggi assuma certe posizioni.
Como non ha un mito fondativo come nucleo cittadino, e quindi si sono create mitologie rispetto alle radici della città come quelle celtiche, senza preoccuparsi dei reali riscontri storici. Essa nasce e si sviluppa da immigrazione forzata portata dall’espansione dell’impero romano, e questo aspetto di costituzione degli abitanti perdura nel tempo, perché poco dopo l’anno 1000, negli atti notarili, molte persone per definire chi sono si indentificavano con l’appartenenza al diritto romano, salico o longobardo. Quindi non vi è una cultura identitaria comune: questa nasce da un crogiolo professionale di artigiani che arrivano qui non per bisogno ma portando la loro competenza.

Più simile al fenomeno attuale delle migrazioni, sono quelle tra fine ‘800 e inizio ‘900, che però sono poco studiate perché molto complicate da ricostruire. In questo periodo, i flussi migratori portarono molti comaschi oltre oceano, come testimoniato dai molti annunci sui giornali dell’epoca per i passaggi sulle navi. Molti dei lavoratori che emigrano erano a Como dei perseguitati politici, che portano anche le loro idee nei territori in cui arrivano.
Recentemente c’è stato il ribaltamento dei flussi con l’inizio delle migrazioni dal Sud Italia, che hanno permesso il fiorire e prosperare della filiera tessile comasca; le relazioni famigliari e di paese hanno portato nel territorio molti migranti, creando gruppi di persone originarie non solo della stessa regione ma addirittura dello stesso comune.
Il ribaltamento definitivo è avvenuto con l’immigrazione internazionale, di cui non si ha nel passato memoria in questi termini. Como ha dato sia prova di accoglienza che d’intolleranza: l’emergenza della stazione San Giovanni nel 2016 è stato un momento storico per la città, costituisce ma anche e solo la punta dell’iceberg del fenomeno.

Per introdurre l’esperienza di don Giusto, è stato proiettato il primo spezzone del video Dall’Egitto a Como, documentario fortemente voluto dalla parrocchia di Rebbio, che attualmente ospita una quarantina di ragazzi lavorando insieme a loro in un comune progetto d’integrazione. Molte di queste storie sono comuni a molte e molti: figli ancora minorenni che abbandonano le famiglie, spesso costrette a indebitarsi per poter permettere loro di partire e lasciando in chi emigra un forte senso sia di colpa che di responsabilità nel dover aiutare la famiglia nel loro paese.

Le parole di don Giusto guidano il pubblico dalle immagini alla narrazione dell’accoglienza sperimentata: il parroco evidenzia come non sia più possibile nascondersi davanti al cambiamento sociale, che vede la popolazione italiana in decrescita e molti giovani (circa 130mila all’anno) un paese che invecchia anche nella testa, e che decade non solo nel corpo ma anche nella mente. Viceversa, la popolazione in Africa invece continua a crescere e molti dei paesi da cui provengono i migranti sono stati recentemente dichiarati “sicuri” dall’Italia. Bisogna quindi capire come integrarsi in queste dinamiche internazionali, nessuno potrà fermare i flussi migratori. La vera sfida – e opportunità – sta nel programmare i flussi e progettare politiche sociali inerenti ad essi invece di subirli. La mancanza di questa visione crea il tipo di disagio e scontento che poi porta a tensioni, intolleranza e razzismo.
Un altro esempio dei problemi legati alla mancata gestione e organizzazione dei flussi migratori è costituito dalle vicende legate al conflitto ucraino-russo: a Como sono arrivati i profughi ucraini, aiutati dalle associazioni e dai cittadini in maniera privata, senza che le istituzioni si attivassero in proposito; vuol dire che si sta giocando una sfida politica sulla paura delle persone, ma si sbaglia in partenza perché non ci si chiede quale paese e città si voglia costruire o stabilizzare negli anni futuri. Nel capoluogo comasco ci sono 12mila stranieri e diverse realtà, associative o informali, organizzate per favorire per l’aggregazione e l’integrazione, così come succede nelle scuole o nelle associazioni sportive, spesso primi motori di buone pratiche integrative; eppure, politicamente questo non interessa, non si vuole vedere quali e quante risorse possano portare i migranti in un disegno più ampio.
In provincia vi sono 960 richiedenti asilo, accolti dal terzo settore perchè purtroppo la Prefettura non ha posti dove poter inserire i nuovi richiedenti. Queste cooperative fanno sentire la loro voce a livello politico? Secondo don Giusto, non come dovrebbero, perché purtroppo, sono molto indaffarate a dover organizzare l’accoglienza di questi flussi, trascurati dalle istituzioni; ciò le priva del tempo e delle energie necessarie per strutturare una loro rappresentanza politica che sieda al tavolo con gli amministratori pubblici.

A chiudere il giro di tavolo, la narrazione della storia di Miledù raccontata da Giorgio Bene, che spiega come si possa promuovere un modello di accoglienza, integrazione e convivenza anche attraverso il rapporto con la natura. Miledù nasce nel 2018 come cooperativa di lavoro con qualifica d’impresa sociale; sin dall’inizio sono stati coinvolti due ragazzi richiedenti asilo, ora soci dell’impresa, proprio si è ritenuto fondamentale valorizzare il loro spirito d’intraprendenza all’interno dell’impresa sociale, integrando e integrandosi nel territorio con i propri servizi di salvaguardia delle tradizioni dei muretti a secco e con i prodotti coltivati nei terreni a Garzola, generando un modello che coniughi solidarietà, ambiente e lavoro.
[Michele Bianchi per ecoinformazioni]

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23 marzo/ Presidio per il San Primo

Presidio davanti alla sede della CM a Canzo in ia Vittorio Veneto 16 giovedì 23 marzo alle 20. Chi può porti gli sci, portate anche bandiere e striscioni per essere più visibili. Nel seguito la lettera che sarà distribuita ai sindaci o loro delegati.

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6 febbraio/ Csf/ Marcia per i nuovi desaparecidos

Como senza frontiere, dopo la condanna di Veneto fronte skinheads, continua a sostenere i diritti delle persone migranti. Sarà nuovamente a manifestare presso il Monumento alla Resistenza Europea, ai giardini pubblici di Como, in occasione della mobilitazione internazionale CommemorAzione.

L’appello della Giornata globale di lotta contro il regime di morte nelle frontiere e per esigere verità, giustizia e riparazione per le vittime della migrazione e per le loro famiglie è reperibile sulla pagina Facebook Commemor-Action e sul sito web www.missingattheborders.org.

«Il Tribunale di Como, nell’udienza di mercoledì 2 febbraio 2022, ha riconosciuto colpevoli di “violenza privata aggravata” i tredici neonazisti di Veneto fronte skinheads che il 28 novembre 2017 interruppero un’assemblea di Como senza frontiere, che si teneva presso il “chiostrino Artificio” – allora in concessione all’associazione Luminanda, aderente alla rete -, imponendo la lettura di un loro delirante proclama contro l’invasione degli stranieri e la difesa della patria.

Abbiamo sempre sostenuto che quell’incursione non era affatto “una ragazzata”, come anche l’amministrazione comunale di Como l’aveva liquidata, ma un atto gravissimo che mirava a colpire i diritti delle persone migranti e quindi i principi stessi della Costituzione italiana. Oggi, la sentenza di primo grado che condanna 11 esponenti di VFS a un anno e otto mesi e 2 a un anno, nove mesi e dieci giorni dimostra che avevamo visto giusto: non si era trattato quella sera solo di colpire alcune persone e alcune realtà, ma i fondamentali principi di democrazia e solidarietà.

Oggi, questa sentenza di primo grado rafforza la nostra convinzione che l’antifascismo e l’antirazzismo devono essere alla base del lavoro di accoglienza e di sostegno ai diritti e alle esigenze delle persone migranti (ma non solo), che ogni giorno le realtà aderenti alla rete portano avanti.

Questa sentenza evidenzia anche il grave errore commesso dall’amministrazione comunale di Como (che è proprietaria degli spazi in cui si svolsero i fatti e che dovrebbe essere custode dei valori costituzionali) nel non aver voluto chiedere di essere parte civile al processo; così facendo e sottraendosi sempre alla pubblica condanna di questo e di altri simili atti ha dimostrato il disinteresse nei confronti dei diritti delle persone e la sua incapacità di farsi testimone dei valori che dovrebbero informare la vita della comunità.

Da questa vicenda, che si è dilungata per oltre quattro anni e che ci ha messo di fronte anche a dolorosi attacchi personali con l’obiettivo di ridicolizzare le vittime di quell’incursione violenta, dobbiamo avere la capacità di maturare un impegno ancora maggiore per la difesa di quei diritti e di quei valori che abbiamo messo al centro della nostra azione.

Per questo saremo nuovamente a manifestare presso il Monumento alla Resistenza Europea, ai giardini pubblici di Como, in occasione della Giornata globale per le vittime delle migrazioni, domenica 6 febbraio dalle 15:00 alle 16:00. Per chiedere il riconoscimento dei diritti delle persone migranti, per non dimenticare la strage continua ai confini della Fortezza Europa, per restare umani.

Aderiscono alla rete Como senza frontiere: Aifo Como, Anpi Monguzzo, Anpi provinciale Como, Arci Como, Arci-ecoinformazioni, Arci Spop – Sportello popolare, Associazione artistica Teatro Orizzonti inclinati, Associazione Culturale Territori-Natura Arte Cultura, Associazione Migrante Como-Milano, Associazione Par Tüc, Associazione Luminanda, Baule dei suoni, Cgil Como, Comitato comasco antifascista, Comitato Como Possibile Margherita Hack, Como accoglie, Como Comune, Cooperativa Garabombo, Coordinamento comasco per la Pace, Coordinamento comasco contro l’omofobia, Donne in nero Como, Emergency Como, +Europa Lario, Giovani comunisti Como, I Bambini di Ornella, Baule dei suoni, Italia-Cuba Como, L’altra Europa Como, L’isola che c’è, Libera Como, Medici con l’Africa Como, Missionari comboniani di Como e Venegono, Potere al Popolo Como e provincia, Prc/Se provinciale Como, Scuola di italiano di Rebbio, Sinistra Italiana Como, Unione degli studenti Como, Volontari della Parrocchia di Rebbio, tante e tanti altri». [Como senza frontiere]

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